La legge di conversione del DL Semplificazioni ha modificato la disciplina delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati, contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ( art. 37 bis, DL n. 73/2022 convertito in Legge) A seguito delle modifiche indicate in oggetto, l’articolo 25-novies del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14) tra l’altro dispone che l’Istituto nazionale della previdenza sociale, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione segnalano all’imprenditore e, ove esistente, all’organo di controllo, nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale, a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria:
a) per l’Istituto nazionale della previdenza sociale, il ritardo di oltre novanta giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore:
1) per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30 per cento di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di euro 15.000;
2) per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all’importo di euro 5.000;
b) per l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’esistenza di un debito per premi assicurativi scaduto da oltre novanta giorni e non versato superiore all’importo di euro 5.000;
c) per l’Agenzia delle entrate, l’esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all’imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, di importo superiore a euro 5.000 e, comunque, non inferiore al 10 per cento dell’ammontare del volume d’affari risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente; la segnalazione è in ogni caso inviata se il debito è superiore all’importo di euro 20.000;
d) per l’Agenzia delle entrate-Riscossione, l’esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni, superiori, per le imprese individuali, all’importo di euro 100.000, per le società di persone, all’importo di euro 200.000 e, per le altre società, all’importo di euro 500.000.
Le segnalazioni sono inviate:
a) dall’Agenzia delle entrate, contestualmente alla comunicazione di irregolarità di cui all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e, comunque, non oltre centocinquanta giorni dal termine di presentazione delle comunicazioni di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge n. 78 del 2010;
b) dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dall’Agenzia delle entrate-Riscossione, entro sessanta giorni decorrenti dal verificarsi delle condizioni o dal superamento degli importi indicati sopra.
Le disposizioni del presente articolo si applicano:
a) con riferimento all’Istituto nazionale della previdenza sociale e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in relazione ai debiti accertati a decorrere dal 1° gennaio 2022, per il primo, e ai debiti accertati a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto per il secondo;
b) con riferimento all’Agenzia delle entrate, in relazione ai debiti risultanti dalle comunicazioni di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge n. 78 del 2010 a decorrere da quelle relative al secondo trimestre 2022.
c) con riferimento all’Agenzia delle entrate-Riscossione, in relazione ai carichi affidati all’agente della riscossione a decorrere dal 1° luglio 2022.
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Conversione decreto Semplificazioni: disposizioni in materia di Terzo settore
A seguito dell’approvazione definitiva da parte del Senato del ddl n. 2681, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 73/2022, recante misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali, si forniscono di seguito le disposizioni in materia di Terzo settore (Senato – Comunicato 02 agosto 2022). La disposizione contenuta all’articolo 25-bis, aggiunta nel corso dell’esame alla Camera, introduce di fatto una sospensione del termine per il computo dei 180 giorni entro i quali gli uffici del Registro unico nazionale del Terzo settore, ricevute le informazioni contenute nei registri pre-esistenti, provvedono a richiedere agli enti già iscritti le eventuali informazioni o documenti mancanti e a verificare la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione. Ai fini del computo di tale termine a far data dalla ricezione delle informazioni contenute nei registri antecedenti al RUNTS, si prevede infatti che non si debba tenere conto del periodo compreso tra il 1° luglio 2022 ed il 15 settembre 2022. L’articolo 26 introduce una numerosa serie di modifiche alla disciplina delle agevolazioni fiscali e finanziarie prevista dal codice del Terzo settore (comma 1) e di quella relativa all’impresa sociale (comma 2). Nello specifico, il testo dell’articolo 26 è stato interamente sostituito durante l’esame da parte della Camera dei deputati e si prevedono le seguenti modificazioni al codice del Terzo settore: a) in materia di imposte sui redditi: – in relazione alle attività di interesse generale degli enti del terzo settore, i costi effettivi sono determinati computando, oltre ai costi diretti, tutti quelli imputabili alle attività di interesse generale e, tra questi, i costi indiretti e generali, ivi compresi quelli finanziari e tributari; – le attività di interesse generale si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 6 per cento (anziché l’attuale 5 per cento) i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi (anziché gli attuali due periodi) d’imposta consecutivi; – circa il mutamento della qualifica da ente di terzo settore non commerciale a ente di terso settore commerciale opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale, per i due periodi d’imposta successivi al termine fissato dall’articolo 104, comma 2, il mutamento di qualifica, da ente di terzo settore non commerciale a ente di terzo settore commerciale e da ente di terzo settore commerciale a ente di terzo settore non commerciale, opera a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui avviene il mutamento di qualifica (L’articolo 104, comma 2, citato, specifica che le disposizioni del titolo X, salvo quanto previsto dal comma 1, si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro); – si considera non commerciale l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati e dei familiari conviventi (anziché familiari e conviventi) degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei familiari conviventi (anziché familiari e conviventi) degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. In base alla modifica, tali cessioni e prestazioni non si considerano di natura commerciale nel caso in cui le relative attività siano svolte alle condizioni di cui ai commi 2 e 2-bis, cioè si tratti di attività di interesse generale non commerciali. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità; b) in materia di imposte indirette e tributi locali: – riguardo le imposte di registro, ipotecaria e catastale da applicare agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie degli enti, per tutti gli enti del terzo settore, comprese le imprese sociali, l’imposta di registro si applica in misura fissa agli atti, ai contratti, alte convenzioni e a ogni altro documento relativo alle attività di interesse generale svolte in base ad accreditamento, contratto o convenzione con le amministrazioni pubbliche, con l’Unione europea, con amministrazioni pubbliche straniere o con altri organismi pubblici di diritto internazionale; – i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio detenuti all’estero dai soggetti (enti del terzo settore comprese le cooperative sociali ed incluse le imprese sociali costituite in forma di società, salvo quanto previsto ai commi 3, 4 e 6) sono esenti dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari esteri, di cui al comma 18 dell’articolo 19 del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011; c) riguardo le detrazioni e le deduzioni per erogazioni liberali: – si rendono detraibili dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche le erogazioni liberali agli enti del Terzo settore anziché agli enti del Terzo settore non commerciali; – si rendono deducibili dal reddito netto delle persone fisiche le liberalità a favore degli enti del Terzo settore anziché agli enti del Terzo settore non commerciali; – l’eventuale eccedenza dell’erogazione rispetto all’importo deducibile può essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare; – le disposizioni in materia di deduzioni e detrazioni si applicano a condizione che le liberalità ricevute siano utilizzate, cioè per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; d) riguardo il regime fiscale delle organizzazioni di volontariato e degli enti filantropici: – i redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato, sono esenti dall’imposta sul reddito delle società. Nella precedente formulazione del comma la destinazione in via esclusiva faceva riferimento agli immobili, e non ai redditi da essi derivanti; e) riguardo il regime fiscale delle associazioni di promozione sociale: – non si considerano commerciali le attività svolte dalle associazioni di promozione sociale in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti (riferimento non presente nella versione attuale), dei propri associati e dei familiari conviventi degli stessi, di altre associazioni di promozione sociale che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o iscritti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (riferimento non presente nella versione attuale del testo); – non si considerano attività commerciali le attività effettuate anche nei confronti degli stessi soggetti indicati al comma 1 anziché dei soli associati e dei familiari conviventi degli stessi; – i redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di promozione sociale, sono esenti dall’imposta sul reddito delle società. Nella precedente formulazione del comma la destinazione in via esclusiva faceva riferimento agli immobili, e non ai redditi da essi derivanti; L’articolo 26-bis, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, estende al 31 dicembre 2022 (in luogo del vigente 31 maggio 2022) il termine per l’applicazione inderogabile delle norme previgenti al nuovo Codice del Terzo Settore, ai fini e per gli effetti derivanti dall’iscrizione degli enti nei Registri di Onlus, ODS (Organizzazioni di Volontariato), APS (Associazioni di promozione sociale), in attesa della piena operatività del Registro unico del Terzo settore.
Estensione della disciplina in materia di versamento unitario
La Legge di conversione del DL semplificazioni (DL n. 73/2022) estende l’applicazione della disciplina in materia di versamento unitario Con l’art. 3 bis è stata inserita nel DL sempilifcazioni (DECRETO-LEGGE 21 giugno 2022, n. 73) l’estensione dell’applicazione della disciplina in materia di versamento unitario. Dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dovrà individuare e disciplinare le tipologie dei versamenti, ai contribuenti è consentito effettuare versamenti unitari di qualsiasi imposta, tassa o contributo, comunque denominati, spettanti allo Stato, agli enti territoriali e agli enti previdenziali, secondo la disciplina dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
Riscossione contributi per l’attività ispettiva posti a carico delle imprese sociali
Il Mef ha disposto la riscossione dei contributi per l’attività ispettiva posti a carico delle imprese sociali non costituite in forma cooperativa (MEF – Decreto 20 luglio 2022) I contributi per l’attività ispettiva posti a carico delle imprese sociali, non costituite in forma cooperativa, di spettanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché i relativi accessori e interessi, sono versati con le modalità previste dall’art. 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. L’Agenzia delle entrate trasmette al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con modalità telematiche e secondo termini definiti d’intesa, il flusso informativo relativo ai versamenti.
Successione: tassati c/c, stipendi maturati e quote versate come socio su libretto
Si dichiarano interamente in successione conti correnti intestati unicamente al de cuius, stipendi maturati e quote versate come socio su libretto, seppur tra i coniugi vige il regime di comunione legale dei beni, salva la dimostrazione dei presupposti per applicare la comunione legale differita (Agenzia delle entrate – Risposta 01 agosto 2022, n. 398). Il contribuente dichiara che in data 5 giugno 2021 è deceduto il coniuge in regime di comunione legale dei beni, con conseguente apertura della successione, nella quale rientrano i seguenti beni di titolarità del de cuius:
– c/c n. radicato presso la banca;
– stipendi maturati ed indennità per ferie e permessi non goduti non riscossi ;
– quote versate come socio prestatore sul libretto, produttive di interessi.
Al riguardo, l’istante chiede di sapere se rientri in successione “il valore corrispondente al 50% dei beni sopra indicati”.
Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in mancanza di diversa convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 162 del codice civile, è costituito dalla comunione dei beni che implica prevalentemente la contitolarità e cogestione dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio e le aziende gestite da entrambi e costituite dopo le nozze.
Con riguardo alla fattispecie del conto corrente intestato al solo de cuius in regime di comunione legale del beni, nella circolare n. 53 del 6 dicembre 1989 è stato precisato che non può ritenersi facente parte della comunione legale e, conseguentemente, cadere in successione, soltanto la metà della somma depositata in conto corrente (cioè la quota corrispondente al 50% del saldo del conto corrente esistente alla data della morte del coniuge intestatario), ma l’intero importo del conto corrente.
La tesi secondo cui anche i diritti di credito derivanti da deposito bancario formerebbero oggetto della comunione legale c.d. “de residuo” – e quindi già nella titolarità al 50% del coniuge superstite iure proprio – si fonda sul presupposto che le somme di cui trattasi siano riferibili specificamente ed esclusivamente a frutti di beni personali o a proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, che si trovino ad essere non consumati al momento dello scioglimento della comunione (per effetto del decesso del coniuge).
La stessa circolare precisa che “fino a dimostrazione contraria (la quale, peraltro, ben difficilmente potrebbe presentare i requisiti di certezza idonei) non possa superarsi l’apparenza della situazione giuridica creata con l’intestazione del deposito ad uno solo dei coniugi”.
Non appare in contrasto con tali conclusioni quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4393 del 2011 relativa alla possibilità di ricondurre nella comunione ai sensi dell’articolo 177 del c.c. anche i crediti.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno statuito che anche il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato, in regime di comunione legale dei beni, soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti proventi dell’attività svolta dallo stesso, deve considerarsi facente parte della comunione legale dei beni al momento del decesso dell’intestatario stesso, con la precisazione che “lo scioglimento attribuisce al coniuge superstite il diritto al riconoscimento di una contitolarità propria sulla comunione e, attesa la presunzione di parità delle quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, persino anche nelle ipotesi in cui essi fossero stati esclusivi del coniuge defunto”.
L’Agenzia ritiene, quindi, che debba costituire oggetto di dichiarazione ai fini dell’imposta di successione l’intero importo del saldo del conto corrente intestato al de cuius, fatta salva la dimostrazione da parte del contribuente che sussistono i presupposti per applicare il regime della comunione legale differita.
Analoghe considerazioni valgono anche per il libretto.
Per quanto riguarda, infine, le somme e i valori maturati dal de cuius, ma non ancora liquidati al momento decesso (quali quelli indicati in istanza come stipendi maturati ed indennità per ferie e permessi non goduti e non riscossi dal de cuius) si ritiene che anch’essi sono da ricomprendere fra i beni caduti in successione e, come tali, da ricomprendere nell’attivo ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Per le suesposte considerazioni, tali somme potrebbero confluire nella comunione “de residuo” in quanto non consumati.
Esenzione dall’imposta di registro per le cause che eccedono euro 1.033,00
Esenzione dall’imposta di registro anche per le controversie il cui valore non eccede la somma di 1.033 euro (Agenzia delle entrate – Circolare 29 luglio 2022, n. 30/E). L’articolo 46 della legge 21 novembre 1991, n. 374 prevede che «Le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033,00 e gli atti e i provvedimenti ad esse relativi sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato, secondo gli importi previsti dall’articolo 13 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni».
La disposizione introduce una deroga alla disciplina generale concernente la tassazione degli atti dell’autorità giudiziaria, recata dagli articoli 37 del Testo Unico dell’Imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e 8 della Tariffa, Parte prima, allegata al medesimo d.P.R., che individua la misura dell’imposta in relazione alle diverse tipologie di atti.
In relazione all’ambito applicativo del citato articolo 46, alla luce dell’indirizzo espresso, al riguardo, dalla Corte di Cassazione (cfr. sentenze 16 luglio 2014, n. 16310; 24 luglio 2014, nn. 16978, 16979, 16980, 16981), con la risoluzione n. 97/E del 10 novembre 2014 è stato precisato che il regime esentativo per valore si applica non solo in relazione agli atti e provvedimenti relativi al giudizio di primo grado dinanzi al Giudice di pace, ma anche a quelli emessi dai giudici ordinari nei successivi gradi di giudizio in sede di impugnazione delle sentenze emesse dal Giudice di pace medesimo.
Con la presente circolare, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale di seguito illustrato, che ha progressivamente superato la posizione assunta con la citata risoluzione n. 97/E del 2014, l’Agenzia delle entrate fornisce ulteriori indicazioni in materia.
Nello specifico, con ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31278, seppure concernente la tassazione di una sentenza civile del Tribunale, emessa in sede di appello avverso una sentenza del Giudice di Pace in controversia di valore inferiore a 1.033,00 euro, la Suprema Corte ha precisato che la ratio informatrice dell’articolo 46 della citata legge n. 374 del 1991 «è quella di esonerare tali cause dal carico fiscale perché di minimo valore, ovvero di alleviare l’utente dal costo del servizio di giustizia per le controversie di valore più modesto: l’imposta di registro infatti è proporzionale al valore, mentre ai fini impositivi risulta indifferente l’organo giudiziario che ha emanato il provvedimento».
I giudici di legittimità hanno evidenziato, al riguardo, che rispetto a tale finalità «risulta coerente solo la previsione di una esenzione generalizzata, in deroga al disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, che escluda dal pagamento della tassa di registro tutte le sentenze adottate nelle procedure giudiziarie di valore inferiore ad Euro 1.033,00, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito».
Dello stesso tenore l’ordinanza 2 ottobre 2020, n. 21050 concernente la tassazione di una ordinanza di assegnazione di somme emessa dal Tribunale nell’ambito di procedura di esecuzione mobiliare attivata in forza di sentenza resa dal giudice di pace in controversia di valore inferiore ad euro 1.033, con la quale è stato precisato che il fatto che l’articolo 46 «risulti inserito nel corpo normativo recante l’istituzione del giudice di pace non costituisce elemento decisivo per ancorare l’operatività della norma suddetta solo agli atti emessi dal giudice di pace, posto che l’unica condizione oggettiva richiesta è che si tratti di ‘cause (…) il cui valore non ecceda la somma di Euro1.033,00» e che rispetto alla finalità perseguita dalla norma risulta coerente solo la previsione di una esenzione generalizzata «indipendentemente dal grado di giudizio, dall’ufficio giudiziario adito e dal tipo di processo (di cognizione, esecutivo o cautelare) instaurato».
Tali affermazioni di carattere generale risultano rese nell’ambito di controversie concernenti impugnazioni di avvisi di liquidazione notificati in relazione a provvedimenti emessi in giudizi promossi, prima facie, avanti il Giudice di Pace.
Il suddetto principio interpretativo è stato poi ribadito dalla Suprema Corte con le più recenti ordinanze del 22 febbraio 2021, n. 4725 e del 3 marzo 2021, nn. 5857 e 5858, esprimendosi con riferimento a controversie promosse sin dal primo grado avanti uffici giudiziari diversi dal Giudice di Pace (nella specie Tribunale Civile).
In virtù dell’orientamento espresso e allo scopo di allinearsi alla richiamata giurisprudenza per assicurare uniformità di trattamento delle situazioni analoghe a quelle prese in considerazione dalle pronunce menzionate, l’Agenzia ritiene di applicare la disposizione di favore contenuta nell’articolo 46 della legge n. 374 del 1991 a tutti gli atti e provvedimenti relativi a controversie il cui valore non eccede la somma individuata di euro 1.033,00, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito, con il superamento delle precedenti indicazioni di prassi in materia.
La disposizione esentativa in commento si applica anche agli atti giudiziari, così come individuati dalla Nota II posta in calce all’articolo 8 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, per i quali trova applicazione l’imposta di registro in misura fissa in quanto dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti ad imposta sul valore aggiunto.
In particolare, la richiamata Nota II prevede che «Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1 -bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico (NOTA 1) », mentre quest’ultima disposizione prevede, in via generale, che «Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa».
In tali casi, pertanto, non è dovuta neanche l’imposta in misura fissa.
Si precisa, infine, che la previsione esentativa non risulta applicabile alle disposizioni negoziali contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati, enunciati nell’atto dell’autorità giudiziaria interessato dall’agevolazione in esame, che restano soggetti a tassazione in ottemperanza alle previsioni recate dall’articolo 22 del d.P.R. n. 131 del 1986. Ciò in quanto, la disposizione agevolativa di cui al più volte citato articolo 46 interessa esclusivamente «Le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033,00 e gli atti e i provvedimenti ad esse relativi…».
Alla luce di quanto sopra esposto, si invitano le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia in esame e, ove l’attività di liquidazione dell’Ufficio sia stata effettuata secondo criteri non conformi, ad abbandonare, con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio, la pretesa tributaria, sempre che non siano sostenibili altre questioni.
Nel chiedere che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, occorre prendere motivatamente posizione anche sulle spese di giudizio fornendo al giudice elementi che possano giustificare la compensazione, qualora non sia stata acquisita la rinuncia del contribuente alla rifusione delle spese di lite.